All’inizio del nuovo anno

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Un altro anno di Linea d’Ombra è trascorso. Un altro anno in piazza: dall’affollamento estivo, fino a punte di sessanta, settanta e anche più migranti, ai piccoli gruppi invernali o ai giorni in cui non arriva nessuno. Negli ultimi mesi, sembra essere alquanto diminuito il numero dei migranti lungo le rotte balcaniche, non solo quella dalla Grecia alla Bosnia via Albania e Montenegro, ma anche quella più a Nord: Bulgaria, Romania, Serbia verso Ungheria Austria.

In piazza, inoltre, incontriamo anche chi viene a trovarci perché vuole conoscerci o aiutarci. La piazza davanti alla stazione di Trieste è diventata un luogo d’incontri: possiamo dire il tentativo di una pratica di socialità alternativa in mezzo a una città indifferente.

Un altro anno di vita intensa per noi perché un impegno di questo tipo è un coinvolgimento completo fisico, emotivo e mentale. È l’impegno politico come impegno di vita, più precisamente come forma di resistenza nei confronti di una deriva esistenziale e sociale che sembra inarrestabile. È un modo di far politica che parte dall’incontro con i corpi, corpi feriti, affamati e soprattutto umiliati, attiva nei termini di una solidarietà basata sulla cura in senso insieme generale e concreto: politica come cura dell’altro.

Nel nostro caso, questo altro è figlio della politica occidentale, europea e anche italiana, nel cosiddetto Medioriente – nome che ne rivela tutta l’origine coloniale -, politica che ha letteralmente devastato questo vastissimo territorio: afgani e pakistani, in prevalenza, ma anche iracheni, siriani, iraniani e anche bengalesi e nepalesi; e poi gruppi di magrebini: marocchini algerini tunisini, che preferiscono questa rotta di terra a quella più pericolosa del Mediterraneo.

I migranti della Rotta balcanica, che meglio sarebbe chiamare Rotta Europea, come dicono le nostre amiche bosniache Azra e Nidzara, ci fanno toccare con mano tutti i giorni gli effetti di ciò che la freddezza delle statistiche mostra e insieme nasconde: un mondo dominato come mai prima dal denaro come valore supremo, in cui la vita umana non conta proprio nulla.

Concretamente, questi corpi in cammino ci fanno toccare con mano la politica dell’Unione Europea nei confronti di un tipo di fenomeno migratorio iniziato nel 2014-15: una politica di campi dalla Turchia alla Bosnia, pagata a suon di miliardi di euro, che è insieme una politica di contenimento e di filtraggio di forza lavoro a prezzo irrisorio e di favoreggiamento delle organizzazioni di trafficanti di corpi; cui va aggiunta la Rotta Mediterranea che ha trasformato questo mare turistico e mercantile in un mare di morte.

In piazza noi incontriamo quasi soltanto giovani uomini, anche molti minori, pochissime famiglie, perché queste devono affidarsi alle organizzazioni clandestine per affrontare la durezza del viaggio. Diamo alcune indicazioni più precise, quali segni del nostro impegno quotidiano nella piazza circolare fra le panchine, sotto l’impassibile monumento a Sissi, in mezzo allo svolazzar di gabbiani e piccioni affamati: circa quattromila persone da gennaio a dicembre 2021. Fra questi almeno 500 minori e oltre una decina di gruppi familiari con bambini.

Come è noto, il nostro intervento patisce i limiti dell’invisibilità di questi migranti, voluta perché transitanti (oltre il 90%) ma anche duramente sofferta. Oltre a un primo intervento sanitario, cibo, scarpe, vestiario e sacchi a pelo, noi non possiamo offrire altro: un decente tetto notturno, una doccia… Questo è per noi un problema molto difficile da affrontare, ma che tuttavia teniamo ben presente.

Non possiamo non ricordare, a questo punto, che la nostra attività quotidiana impone un costo notevole che riusciamo a esaudire grazie alla formazione di una rete importante di donatori, i quali ci hanno consentito finora di far fronte alle esigenze quotidiane. Questa rete non si esaurisce nel gesto donativo, che può essere un modo per sgravarsi la coscienza, ma è importante anche come mezzo di sviluppo di consapevolezza politica.

Oltre alla piazza, come è noto, noi andiamo periodicamente in Bosnia, dove agiamo con volontari locali e internazionali attraverso acquisti di ciò che serve ai migranti in jungle o in fabbriche e case abbandonate, in procinto di gettarsi in game: l’ultimo viaggio è stato dall’8 al 14 ottobre. Ne era programmato un altro per fine dicembre 2021, cui abbiamo dovuto rinunciare per questioni relative alla sindemìa.

Naturalmente, in Bosnia ritorneremo sempre: è importante incontrare i migranti in questo momento fondamentale del cammino per avere con loro un rapporto più intenso e consapevole, senza sovrapporre il nostro bisogno di ‘aiutare’ ai loro bisogni e alle loro esigenze. Così, è importante avere un rapporto con i volontari locali e internazionali nella convinzione di essere parte di una rete europea di solidarietà, una sorta di Europa alternativa a quella che siede a Bruxelles. Il punto centrale di questa diffusa e spesso poco visibile attività deve essere il concetto che i migranti, ben al di là della loro consapevolezza, sono portatori di un diritto fondamentale non riconosciuto da nessuno Stato: il diritto ad una vita degna di essere vissuta e che questo ‘diritto’ deve essere il cardine di un cambiamento dell’ordine sociale.
Questo motiva la nostra attività, ben oltre l’orizzonte umanitario e al di là delle enormi difficoltà concrete in tempi che sembrano racchiusi in un orizzonte di morte.

Siamo consapevoli che il nostro impegno cammina sul filo della legalità; che siamo tollerati perché svolgiamo una funzione di scorrimento che aiuta le istituzioni a liberarsi di un problema. Tuttavia, ogni tanto c’è una pietra d’inciampo, come la denuncia per Lorena e Gian Andrea, in febbraio, conclusasi in ottobre con l’archiviazione in base a una sentenza del G.I.P. di Bologna, interessante perché afferma la non punibilità dell’aiuto a migranti entrati illegalmente nel territorio dello Stato purché entro i confini del territorio stesso.

I rapporti con gruppi o attivisti di altre città e luoghi sono necessari per accompagnare in qualche misura il tragitto dei migranti. In questa direzione importanti sono anche gli incontri, i dibattiti, i viaggi, come il viaggio in val di Susa alla fine di aprile, gli incontri a Trento a Verona, a Bologna, a Padova, a Milano e poi molti altri via internet (purtroppo!). Abbiamo avuto diverse interviste, anche con giornalisti noti della televisione e una menzione all’interno di un Premio nazionale dell’organismo che raccoglie numerose Onlus di area cattolica (FOCSIV).
È assolutamente necessario camminare insieme verso la costituzione di una rete permanente di solidarietà diffusa. Il nostro impegno quotidiano ha senso politico solo in un contesto dinamico di solidarietà attiva in grado di crescere, di organizzarsi. In tale direzione vogliamo ricordare tre eventi significativi cui ha attivamente contribuito Linea d’Ombra.

I primi due hanno in comune il tentativo di realizzare un desiderio fondamentale: portare i nostri corpi su quel confine fisico e simbolico che pratica il violento rifiuto europeo dei migranti. Il primo, il Ponte di corpi, lanciato da Lorena, ha cercato di mandare, il 6 marzo, un intenso messaggio a partire dal confine di Maljevac con la Bosnia, moltiplicato in diverse piazze italiane e anche europee. A Maljevac è andato un piccolo gruppo di donne per manifestare la contrapposizione della qualità generativa del corpo, di ogni corpo in senso simbolico non solo di quello femminile, alla violenza del corpo poliziesco contro i corpi migranti. Il secondo evento, la Carovana Migrante, ha visto la realizzazione, in due tempi, del tentativo di costruire sui confini italo-sloveno e, ancora, croato-bosniaco una manifestazione di protesta contro il confine. Il 17 aprile a Pesek, sul confine sloveno, e il 19 giugno sul confine croato-bosniaco. A Maljevac, oltre un centinaio di attivisti, italiani ed europei (sloveni, austriaci e cechi), dopo aver attraversato la Croazia con un corteo di auto, è riuscito a manifestare per tre ore di fronte al confine. Lo sforzo, cui hanno partecipato diverse organizzazioni e gruppi internazionali, è stato notevole e ha richiesto un lungo lavorio di incontri on line e non solo. In seguito, gli organizzatori hanno dovuto constatare di non esser più in grado di dar seguito ad altre iniziative, indicando così un grave limite di quelle capacità di camminare insieme, alle quali non dobbiamo assolutamente rassegnarci.
Infine, l’ultimo evento dal carattere più simbolico, il Cammino della Speranza, che dal 14 al 22 dicembre ha riunito diverse organizzazioni di volontari, in un cammino a staffetta di atleti da Pesek ad Oulx in val di Susa, passando per la nostra piazza, dove c’è stata una conferenza stampa, con manifestazioni e incontri lungo tutto il percorso, che è quello dei migranti, con lo scopo di mostrare nella luce pubblica il tragitto che i migranti devono percorrere nell’ombra dell’illegalità.

Concludendo questo messaggio, la sintesi del nostro impegno può essere questa: far politica è vivere, vivere è resistere, resistere è produrre centri espansivi di cura reciproca, di socialità solidale. Invitiamo tutte e tutti a partecipare.

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