Oulx, Cesana Torinese, Briançon  7-11 novembre 2022

Un breve racconto e un ragionamento nati sulla via del ritorno a Trieste dopo una settimana vissuta nella casa occupata Yallah!, sul confine italo-francese, con militanti da tutta Europa e sans-papier africani, asiatici e latini.

La statale che da Torino risale la Val Susa è pittoresca non solo per la vista che si staglia su montagne sempre più irte e rocciose. La varietà di scritte che si trovano nelle gallerie e sui viadotti dà un senso d’accoglienza a chiunque si trovi impegnato a difendere la libertà di movimento: No borders, no nations, fuck authority; la frontière tue; ogni sbirro è una frontiera; sono dunque occupo spazio. Non mancano scritte in arabo che, oltre ai contenuti politici, testimoniano anche la passione calcistica per qualche squadra nordafricana.

Sono 640 i chilometri che separano Trieste da Oulx. Mi muovo verso il confine francese-italiano, sul lato opposto dello stivale rispetto a dove opera di solito Linea d’Ombra; sono insieme a Carlo fino a Torino, poi recupero un’auto a noleggio, un’amica tedesca e due ragazzi di Casablanca che raccontano di essere frequenti inquilini di Yallah!, cascina occupata da luglio scorso in risposta allo sgombero della casa cantoniera di Oulx, e già diventata punto di riferimento per chi fa militanza autogestita.

Arriviamo con il buio e il freddo, la casa all’interno è caotica, ci saranno almeno una ventina di persone, la cucina è un subbuglio di pentole che sfrigolano e chiacchiere in almeno cinque lingue. Sono un po’ spaesato, sembra di essere entrato in un formicaio, piuttosto sporco per giunta. Faccio un giro mentre Six, nome di battaglia, mi racconta che la casa è rimasta senz’acqua da quattro giorni. Ci si arrangia con un rubinetto posto a una cinquantina di metri dalla casa, che porta l’acqua di un torrente impetuoso, e andando diverse volte al giorno a riempire taniche di acqua potabile da una fontana non proprio vicina. Ma quante persone abitano qui? Dipende. A volte dieci, a volte quaranta.

Al piano terra si trovano tre stanze che fungono da magazzino (medicine, attrezzi, vestiti), oltre ad una camera stipata di letti a castello. Al primo piano c’è un bagnetto di servizio, la cucina e un grande salone comune dove – in teoria, non sempre nella pratica – non si beve alcol e non si fuma. Al secondo piano un bagno con la doccia, che purtroppo non è utilizzabile, due stanze da letto e l’ufficio, con scrivania e un paio di computer sgangherati. Attraverso una scala a pioli si può salire nel sottotetto, ironicamente chiamato “l’attico”, dove c’è ulteriore spazio per dormire. Due tende creano altrettanti ambienti separati sotto le falde del tetto: da un lato c’è spazio misto, dall’altro i maschi cis-etero non sono ammessi.

Stiamo tutti accalcati sui divani nella sala comune, unico ambiente riscaldato, a sorseggiare té e chiacchierare. L’arabo si mescola al francese, all’inglese, al tedesco. Italiani siamo in due, ma qui davvero non importa la provenienza. Prima di andare a dormire passo in cucina a bere un bicchier d’acqua. Malgrado prima fosse un putiferio di sporcizia e disordine, qualcuno si è preso il tempo di pulire tutti i piatti e il pavimento. Gli scaffali straripano di farina, tè, patate, uova, olio, pasta, riso e tutte le cose che abbiamo preso a Torino per non arrivare a mani vuote.

L’attività della casa non è organizzata se non in minima parte, il resto è dato all’autogestione. Pulizia, fare legna, apportare migliorie alla casa, gestione magazzino, curare gli attrezzi, recuperare cibo sono tutti lavori che vengono svolti in autonomia per coscienza personale. Sono solo tre i compiti che l’assemblea ha scelto di portare avanti ogni giorno: turni di guardia per eventali sgomberi la mattina alle 5:30; chiusura notturna delle barricate – letteralmente, ogni finestra e il portone sono sbarrati con molteplici puntelli e sbarre di ferro; e infine visita mattutina al rifugio istituzionale dei Salesiani a Oulx, per informare i nuovi arrivati e i respinti sulla presenza della casa. Il rifugio è piuttosto inflessibile nel concedere un unico pernotto a chi arriva per tentare la traversata e a chi viene respinto dalla frontiera (la polizia ogni sera consegna direttamente al rifugio le persone intercettate). Per questo la casa occupata è un luogo fondamentale nel mettere con continuità un tetto sopra la testa a chi vuole restare in zona. Tutte le mattine c’è qualcuno che dalla cascina scende al rifugio, racconta cosa sia Yallah!, spiega come raggiungerla e invita chi vuole a risalire assieme.

Ho deciso di passare un paio di pomeriggi prestando servizio presso il rifugio, per osservare entrambe le realtà, che si trovano agli estremi opposti nell’intendere il supporto alle persone in movimento. Se la realtà del Rifugio Fraternità Massi rispecchia in pieno le dinamiche istituzionali, dagli standard igienici all’inflessibilità dell’orario, Yallah! al contrario realizza nel suo piccolo l’utopia di uno spazio dove tutte le persone sono davvero uguali e libere di autodeterminarsi. Sotto lo stesso tetto stanno sans-papier asiatici, latini e africani, europei con passaporto, persone migranti con i documenti in regola e pure bianchi che per questioni politiche o per altre vicissitudini non hanno carta d’identità. Ci si può fermare per quanto tempo si vuole, aiutare come meglio si crede e con quanto si può e si vuole. Certo, per vivere questa esperienza bisogna fare i conti con l’assenza di spazio personale, un’igiene non eccellente, la mancanza del riscaldamento e il sovraffollamento, nonché della distanza che corre tra la consapevolezza morale e politica delle persone militanti e la legittima abitudine di chi è in movimento ad usare i posti senza prendersene cura. Di necessità si fa però virtù, e le condizioni precarie generano relazioni attente al rispetto, all’equilibrio e alla condivisione. Segnalo la situazione a Trieste, e con Linea d’ombra decidiamo di intervenire in aiuto per acquistare il materiale necessario a riportare l’acqua corrente in casa.

Nei giorni trascorsi a tra Oulx, Briançon e Cesana Torinese ho guidato per diversi chilometri (non sempre è disponibile un’automobile), ho lavato i piatti, spaccato la legna, portato l’acqua, maturando poco a poco la consapevolezza di essere arrivato con l’approccio sbagliato. Pensavo di andare a visitare un luogo e di portare supporto alle persone in movimento, ma questo non è possibile. Nel momento in cui varchi la soglia blindata della cascina, tu diventi quel luogo e non lo stai più visitando. Nel momento in cui supporti Yallah!, supporti una comunità eterogenea e cangiante in cui non si possono fare distinzioni tra attivisti, volontari, accolti, migranti. Non ci si può fare cruccio se le cose prendono svolte impreviste. Se decidi di fare qualcosa per la casa, per chi la abita, lo fai anche per te stesso, perché capisci che ce n’è bisogno e che hai le capacità per farlo. Non esiste un elenco degli accolli da sbrigare, solo una volontà collettiva, imperfetta e sgangherata ma funzionante.

Sono successe tante cose in questi giorni. Non ho dormito molto, non mi sono lavato un granché. Ho vissuto, parlato, ascoltato e credo di aver capito quanto preziosa sia l’esperienza di Yallah! e quanto bello sarebbe avere una casa occupata come questa su ogni frontiera.

Francesco, 12 novembre 2022

edit 14 novembre: è tornata l’acqua in casa! Un’attenta ispezione ha rivelato un tombino a qualche centinaio di metri dalla casa dove era stata chiusa la corrente. È bastato riaprirlo per ritornare a lavare i piatti nel lavello, bere senza dover riempire taniche e tirare lo sciacquone. Nel weekend sono arrivato alcuni compagni francesi che hanno fatto un importante lavoro di isolamento al tetto, rendendo l’attico più abitabile. Abbiamo deciso di regalare comunque a Yallah! una pompa ad immersione che tornerà utile in caso di problemi con l’azienda fornitrice dei servizi idrici. Questa casa è viva 🙂

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